Il bacio di Giuda by Casati Modignani Sveva

Il bacio di Giuda by Casati Modignani Sveva

autore:Casati Modignani, Sveva [Casati Modignani, Sveva]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


El me renàrd

Un giorno, a Dio piacendo, la mamma riuscì a trovare una moglie per lo zio Giovanni, suo fratello, che viveva con noi. Era la seconda volta che la mamma provava ad accasare lo zio. La prima era andata male, perché la candidata, una zitella poco avvenente, l’aveva rifiutato.

Un mattino di maggio, la madre di quella Liliana, a cui avevo dovuto scrivere un biglietto di felicitazioni per il “fausto giorno” della sua santa cresima, venne a trovare la mamma per parlarle di una certa sua idea. La mamma ne parlò a sua volta con la nonna e la sera vennero informati anche gli uomini di casa.

Insomma, da La Spezia era arrivata a Milano una certa Pinuccia, figlia di un ammiraglio palermitano, don Mimì Sajeva, che era diventata un cruccio per i suoi genitori perché, alla soglia dei trent’anni, non si era ancora maritata. In realtà Pinuccia si stava macerando nella vergogna da quando il fidanzato, il giorno prima delle nozze, era sparito nel nulla dopo aver annunciato: «Vado a prendere le sigarette». Pinuccia era caduta in depressione, tanto che sua madre, la signora Catalisano in Sajeva, l’aveva spedita a Milano a casa di suo fratello, l’ingegner Catalisano, perché la facesse distrarre un po’ e magari, chissà, le scovasse un nuovo fidanzato.

«La famiglia è ottima, sebbene siano siciliani. Lo zio Catalisano è un professionista stimato, ha una moglie devota e un figlio che studia in collegio. Tu, che cosa ne dici?», concluse la mamma rivolgendosi a suo fratello.

«Vorrei prima parlare con questo zio», borbottò lui, poco convinto.

«Ti aspetta domani pomeriggio a casa sua e io ti accompagno», lo informò mia madre.

Io, che non mi ero persa una sola parola di quel consiglio di famiglia, alla fine domandai: «Posso venire anch’io?».

Pensavo mi avrebbero risposto picche, invece la mamma disse: «Massì, vegn anca ti».

Il giorno dopo, in casa Catalisano, una cameriera ci aprì la porta e ci lasciò nel vestibolo immerso nella penombra, dicendo: «Avverto subito l’ingegnere».

Era una dimora severa, con le pareti in parte rivestite da librerie con le antine a vetri e in parte occupate da quadri antichi, raffiguranti strani personaggi. Alcuni di questi dipinti erano coperti per metà da tendine verdi.

«Tachen sü i purcherii e dopo j a quàten giò», commentò la mamma sottovoce. «Ci sono cinque quadri e tre fanno così vergogna che bisogna coprirli».

«Mùchela», disse lo zio.

Io fremevo dalla curiosità di sapere che cosa celassero quelle tendine verdi arricciate. E qualche curiosità dovevano averla anche la mamma e lo zio visto che, come me, non si allontanavano da quelle tre tele mostrate solo a metà.

«Lo faccio per mia moglie. Lei passa i suoi giorni a pregare e vorrebbe solo i ritratti dei santi. Ma questi sono dipinti di famiglia e non posso alienarli per farle piacere», disse un personaggio imponente che si era profilato alle nostre spalle.

Era l’ingegnere, lo zio della zitella.

I tre si dileguarono in una stanza e io rimasi sola. Avevano ritenuto opportuno parlare senza la mia presenza. Ero un po’ mortificata per essere stata esclusa.



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